L’indice FTSE MIB ad oggi quota circa gli stessi valori di 10 anni fa, mentre l’indice delle banche italiane si è svalutato del 62%.
Le ragioni di questa perdita risiedono nel fatto che il settore è stato l’epicentro della crisi del 2008. Gli istituti di credito italiani, meno colpiti dagli eccessi della crisi americana del 2008, sono stati i primi a subire le conseguenze della crisi del debito sovrano del 2011/2012 a causa delle conseguenze sul conto economico e sui prezzi di borsa derivanti dalla forte esposizione in titoli di Stato unitamente negli anni a venire a causa dell’ondata di inadempienze creditizie causate dalla recessione che ha portato a un forte aumento dei crediti deteriorati nei bilanci bancari.
Un altro aspetto che ha ridotto i margine è stata la politica espansiva della BCE che ha abbassato fortemente i tassi di interesse e compresso i margini delle banche. Nel 2008 i ricavi da margine di interesse rappresentavano circa i due terzi degli attivi dei bilanci, a distanza di 12 anni, come si può vedere dal grafico, essi rappresentano meno della metà. Contemporaneamente i ricavi da commissioni sono aumentati dell’80% passando dal 35% al 55%. Buona parte di queste commissioni derivano dal comparto del risparmio gestito. Se la normativa MIFID 2 sulla trasparenza dovesse essere più incisiva è chiaro che tali ricavi potrebbero e a mio avviso dovrebbero subire un inversione di tendenza. Infatti in Italia registriamo le commissioni di gestione dei fondi tra le più alte al mondo.
In questi anni pur con un incremento sostanzioso delle commissioni, i fatturati dei 12 principali istituti di credito italiani sono passati da 42 miliardi di euro a 28 miliardi. Questo dato la dice lunga sulla strada che le banche devono ancora correre per diventare più efficienti e redditizie. Anche perchè non può essere sempre il risparmiatore a rimetterci in prima persona sostenendo costi oltremodo smisurati.