Negli ultimi 3 anni il volume dei certificati di investimento è passato da 64 mln di euro a 3,6 miliardi nonostante la pandemia. In un contesto di bassi rendimenti obbligazionari, è esploso il collocamento con l’illusione di poter in qualche modo ottimizzare i portafogli. Di generare redditività senza assumersi rischi, come se un prodotto che investe in titoli a reddito zero potesse generare plusvalenze superiori. È del tutto evidente che il certificato è di fatto un contenitore con delle proprie regole prestabilite dalla banca non può moltiplicare un rendimento senza trasferire dei rischi al sottoscrittore. Ed ecco allora che la maggior parte dei certificati sono costruiti su singoli titoli azionari, su panieri o indici di titoli azionari, cercando proprio attraverso questi strumenti finanziari di ridurre il rischio intrinseco alla tipologia di ogni singolo titolo o mercato.
Purtroppo, si tratta solo di una intenzione, ma la realtà è esattamente opposta a quanto rappresentato dagli intermediari finanziari per almeno tre ordini di motivi.
Imprevedibilità del mercato
Il primo motivo è che per quanto si possano mettere condizionalità e protezione ad eventi futuri, il mercato fa il suo mestiere e per sua natura è imprevedibile, quindi a fronte di scenari previsti dal confezionatore del prodotto, si possono poi verificare scenari non coperti dalle garanzie del certificato e proprio per questo il cliente potrebbe subire un danno maggiore.
Durante dei certificati troppo brevi
Il secondo motivo è che i certificati hanno spesso una durata compresa tra 12 e 24 mesi, di fatto troppo corta per poter rispecchiare a pieno l’orizzonte temporale che per l’azionario puro dovrebbe essere tra 7 e 10 anni. Il cliente si troverebbe ad avere in scadenza un prodotto con una durata troppo breve e a prendersi ob torto collo un risultato che non da nessuna garanzia, nemmeno probabilistica di essere coerente con gli obiettivi di investimento programmati. Immaginiamo tutti i certificati con scadenza lo scorso anno in piena pandemia. Il cliente si è trovato a non poter continuare a detenere lo strumento e a dover obbligatoriamente consolidare le perdite.
Costi dei certificati spesso troppo elevati
Il terzo motivo, che poi ha determinato il successo dei certificati di investimento è la commissione anticipata caricata sul prodotto. Come scritto sul sole 24 ore di sabato 31 luglio 2021, alcuni certificati possono arrivare ad avere costi di emissione anche oltre l’8%, peraltro su prodotti con durate molto brevi, anche inferiori ai 12 mesi. È del tutto evidente che il cliente si trova ad acquistare un titolo che crede possa valere 100 e invece il giorno dopo l’acquisto vale 92 pagando in via anticipata tutta il caricamento sul prodotto. Una sorta di commissione di uscita espressa nel minor valore di mercato, di fatto molto penalizzante anche in caso di rimborso anticipato.
Questi prodotti dalle durate così brevi generano continue commissioni di rinnovo a tutto vantaggio della banca e dei relativi consulenti. Tuttavia, per ammortizzare costi così elevati in epoca di tassi zero, i clienti si espongono ad ulteriori rischi, spesso senza esserne consapevoli. Ciò accade in virtù della firma del modulo ESECUTION ONLY che consente di aggirare il questionario MIFID e di dare seguito all’acquisto anche in presenza di un cliente non propriamente consapevole del funzionamento di questi strumenti.